Come il Kali, anche il Pencak Silat ho iniziato a studiarlo relativamente tardi rispetto al Kung Fu, ma anche per questa disciplina indonesiana la curiosità nasce negli anni ’70, quando per la prima volta ne sentii parlare in un articolo di Cesare Barioli (noto giornalista e artista marziale), Sandokan, ultimo guerriero malese; erano anche gli anni in cui la RAI realizzò lo sceneggiato televisivo Sandokan, nel quale si vedevano, effettivamente, molte scene di arti marziali e l’arma più rappresentativa del Silat, ovvero il Kris, il pugnale dalla lama serpentina.
Ovviamente in quegli anni di scuole di Pencak Silat in Italia neanche a parlarne; ancora oggi ne esistono pochissime. Quando ho iniziato a praticarlo, circa dieci anni fa, il maestro Maltese era l’unico ad insegnarlo, così mi recai periodicamente a Milano per studiarlo.
Il Silat, come il Kung Fu, è un’arte molto vasta e conta decine di stili diversi, sudivisi in interni ed sterni; io ho avuto la fortuna di studiarne uno interno, lo Sri Murni (che si basa su tecniche di respirazione) e uno esterno, il Cidepok. Quest’ultimo è particolarmente affascinante e praticamente sconosciuto nella stessa Indonesia; è un metodo, infatti, che viene insegnato ad un ristrettissimo numero di persone, in un quartiere, quello degli stregoni, di un paese di Bali. La sua pratica è strettamente connessa ai riti di iniziazione, allo sciamanesimo, all’animismo e alle forze della natura.
Come lo stesso maestro Maltese ha più volte raccontato, quel quartiere è fuori dalla zona turistica ed è poco frequentato dagli stessi balinesi per una sorta di paura-rispetto; un praticante di un’altra arte marziale nel rispondere alla domanda del maestro sul perché fossero così pochi a Bali i praticanti di Cidepok, disse: ”Because Cidepok no competisi (competizione in indonesiano) only for to kill”.

Il Pencak Silat o Pentjak Silat è l’arte marziale dell’Indonesia; l’interpretazione più diffusa del termine è “Movimento artistico e attacco efficace”, a sottolineare, come per la maggior parte delle arti marziali, che la sua metodologia d’allenamento prevede lo sviluppo di attitudini al movimento attraverso le Forme (Jurus) e la loro applicazione in combattimento per mezzo delle tecniche (Beladiri).
Tecniche di respirazione, condizionamento, maneggio di armi, esercizi di trapping, meditazione, ecc. completano il repertorio didattico di quest’arte marziale.
Le origini del Silat, frutto di molte influenze culturali, sono scarsamente documentate e la tradizione orale delle diverse scuole non aiuta una ricostruzione storica attendibile; il primo riferimento documentato si ha nell’opera letteraria, di Sumatra, “Tambo Alam Minangkabau”, in cui si narra di Suri Diraja, consigliere del Regno Parahiangan (XI-XII secolo), che favorì lo sviluppo dell’arte marziale a corte.
Questo testimonierebbe come già a quell’epoca, presso l’etnia Minangkabau di Sumatra, si praticasse una forma di Silat; secondo alcuni storici, da reperti archeologici, si evincerebbe che già nel VI secolo a Sumatra si praticasse una forma di lotta che poi si diffuse in tutto l’arcipelago indonesiano.
Oggi si contano, ovvero sono stati classificati, 260 stili in Malesia, dove l’arte prende il nome di Bersilat, e 800 tra stili e metodi, nelle oltre 13.000 isole che compongono l’Indonesia; tratti comuni ai diversi sistemi e, secondo molti, principio ispiratore degli ideatori dei diversi stili furono gli animali (tigre, aquila, coccodrillo, serpente, scorpione, scimmia, ecc.) e le forze della Natura (Mana, un’energia sottile e primigenia che permea tutte le cose e le unisce in una mistica comunione); in linea con il motto Minangkabau: “La natura circostante è il tuo maestro”.
Come Kung Fu o Karate, quindi, il termine Pencak Silat ha un’accezione generale e i suoi moltissimi stili sono classificabili in Interni ed Esterni, in base al diverso rapporto con la concezione esoterica, magica e animista del mondo; si possono distinguere, inoltre, dei tratti comuni tra quelli sviluppatisi lungo la costa, dove i praticanti assumono posizioni molto basse per garantire un miglior equilibrio sulla sabbia e sfruttare in maniera più efficace l’energia prodotta dalla spinta dei piedi al suolo nello sferrare un attacco, privilegiando tecniche di mano, rispetto a quelli delle zone montuose in cui i praticanti assumono posizioni più alte e fanno maggior uso di tecniche di gamba.
Il Silat è stato definito un misto di religione, danza e arte marziale; musica e danza, infatti, oltre a essere ritenute, in Indonesia, espressione del Divino o, se vogliamo, del Trascendente, favoriscono la fluidità d’azione e la coordinazione nel movimento.